Sienkiewicz, Henryk (1846-1916)

Codice
RM_0209
provincia
Roma
comune
Roma
nazione_autore
Polonia
secolo
XIX-XX
luogo_citato
Foro Romano; Campidoglio; tempio di Iside al Campo Marzio; tempio di Giove Capitolino al Campidoglio; Circo Massimo; Suburra; Ponte Milvio;
genere
Romanzo storico
coordinate
41.891411, 12.482514
fonte_bibliografica
Henryk Sienkiewicz, Quo vadis?, Firenze, Salani, 1915.

citazione

La metà del Foro, situata immediatamente a piè della rupe capitolina, era già immersa nell’ombra; le colonne del tempio, al contrario, situate più in alto, splendevano ancora sotto l’aurea luce del sole vespertino; quelle che rimanevano più basse, gittavano lunghe ombre sulle lastre di marmo. Il Foro era popolato di tante colonne, che l’occhio vi si smarriva come in una selva. Case e colonne sembravano ammonticchiate e torreggianti le une sulle altre; parte lanciavansi in alto, parte si arrampicavano su per la parete della rupe capitolina. Al disopra di quella selva di colonne splendevano dipinti triglifi; dai timpani sporgevan innanzi plastiche figure di dèi; su i pinnacoli, delle quadrighe alate sembravano pronte a spiccare il volo per l’azzurra vòlta del cielo, che sì magnificamente arcuavasi sulla città eterna. In mezzo e ai confini del Foro ondeggiava la moltitudine, parte avanzandosi affollata per il peristilio della basilica di Giulio Cesare, parte sedendo stipata sulla gradinata dei Dioscuri. Il tempio di Vesta brulicava d’uomini, donne e fanciulli, che sul fondo posteriore di marmo spiccavano simili a variopinti scarafaggi e farfalle. Dalla parte di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, altre ondate di popolo scendevano giù per i giganteschi gradini; gli arringatori erano circondati d’ascoltanti; qua e là, dei venditori ambulanti offrivano, vociando, frutta, vino ed acqua con conserva di fichi, e vi esercitavano il loro mestiere ciarlatani, giocolieri, indovini, scopritori di tesori nascosti e interpreti di sogni. Di tanto in tanto squillavano le note di una sistra egiziana, d’una sambuca o di un flauto greco in mezzo al brusìo assordante della folla; mentre malati, afflitti e devoti si facevano strada tra la gente per andare a deporre sull’ara del tempio le loro offerte. In mezzo alla moltitudine adunavansi stormi di piccioni sul lastricato a beccare avidamente i granelli che venivano loro gittati. Di quando in quando la calca si apriva per lasciar passare delle lettighe, dentro alle quali vedevansi teste di donne riccamente abbigliate, o capi di senatori e cavalieri, sulle cui facce leggevasi la stanchezza della vita. […] Vinicio, che era stato lungo tempo assente da Roma, guardava con una certa curiosità quella moltitudine e il Foro Romano. […] Sacerdoti di Serapide col ramo di palma in mano, sacerdoti d’Iside, la cui ara riceveva più offerte e vittime del tempio stesso di Giove Capitolino; sacerdoti di Cibele […], tutta gente che menava insieme sotto mille forme una esistenza che aborriva da qualsiasi lavoro, persone che tutte le settimane andavano lungo il Tevere a chieder grano ai magazzini di deposito, si azzuffavano per ottenere biglietti del Circo, passavano la notte nelle case rovinate di là dal fiume, e alle giornate calde di sole oziavano sotto i portici sunnominati, o nelle sudice botteghe della Suburra, o sul Ponte Milvio o innanzi alle insulae dei ricchi, dove veniva loro gettato qualche avanzo della mensa degli schiavi.
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